Storie per riflettere
Stefano Cucchi: l'abuso di potere spiegato dalle Scienze Umane
Di Ylenia Corti, 5U
Da ben dieci anni, Stefano Cucchi è il simbolo dell’abuso di potere da parte delle autorità, per dieci anni la sua storia è stata raccontata, denunciata e, finalmente, dal mese scorso, si può definire conclusa.
Ma chi è Stefano Cucchi?
Stefano è, o meglio era, un geometra trentenne che la sera del 15 ottobre 2009 venne arrestato per possesso di sostanze stupefacenti, e il 22 ottobre, dopo soli sei giorni dal suo arresto e alcuni ricoveri ospedalieri, venne dichiarato morto per “presunta morte naturale”.
Solo quando la famiglia ebbe pubblicato le foto del cadavere, si notarono gli evidenti traumi fisici che l’uomo aveva dovuto subire.
Sulla sua morte fu aperta un’inchiesta e, il 13 dicembre 2012, durante il processo di primo grado, si stabilì che Stefano era morto a causa di mancate cure mediche e per grave carenza di cibo e liquidi. In merito alle lesioni riscontrate post-mortem sul corpo del ragazzo, si affermò che potevano essere state causate da un pestaggio oppure da una caduta accidentale, ma non c’erano elementi a favore né dell’una né dell’altra ipotesi. Nell'ottobre 2014, il giudice assolse “per mancanza di prove” i carabinieri che avevano arrestato Stefano cinque anni prima.
Il muro di silenzio da parte delle autorità ha reso per anni impossibile determinare chi fosse il responsabile della morte del ragazzo. I suoi familiari però non si sono arresi, portando avanti l’idea che Stefano fosse stato ucciso, soprattutto la sorella Ilaria Cucchi che ha dichiarato in varie interviste “ mio fratello, morto tra sofferenze disumane quando era in mano dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato”.
La svolta è arrivata l’anno scorso quando Francesco Tedesco (uno dei carabinieri che aveva arrestato Stefano quella notte) accusò i suoi colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro di aver pestato a sangue il geometra romano, spiegando nel dettaglio l’avvenimento.
La storia di Stefano si è conclusa nel novembre 2019, quando finalmente è stata fatta giustizia per il povero geometra. I suoi assassini hanno ottenuto 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale.
Quello di Stefano Cucchi è un eclatante caso di abuso di potere da parte della autorità, bisogna, però, tenere a mente che non è il solo: nelle carceri italiane ci sono stati molti casi simili, anche se meno conosciuti. Vogliamo allora porre l’accento su alcuni interrogativi: perché le autorità infrangono loro stesse la legge? Perchè le vittime non vengono credute da nessuno? I diritti dell’essere umano valgono o non valgono, se sei etichettato come criminale? L’autorità ha il potere di far tacere il singolo, anche quando ha il diritto di difendersi?
In una lezione di scienze umane abbiamo trattato il famoso esperimento del 1971 condotto dallo psicologo sociale Philip Zimbardo “Guardiani e prigionieri”. Questo consisteva in un gioco di ruolo dove degli individui (equilibrati, maturi e poco inclini alla violenza) venivano divisi in due gruppi, le guardie e i prigionieri per l’appunto, al fine di indagare il comportamento umano.
Dopo soli due giorni si notarono i primi atti di violenza: i detenuti inveivano contro le guardie e queste di rimando li deridevano e umiliavano al fine di spezzare il legame di solidarietà fra essi.
L’esperimento venne interrotto al quinto giorno per via della troppa violenza che stava provocando: la prigione simulata, nell’esperienza psicologica vissuta dai partecipanti in entrambi i ruoli, era diventata una prigione vera e propria. Infatti, assumendo un ruolo istituzionale tendiamo ad assumere anche le norme e le regole dell’istituzione come unici valori su cui il comportamento deve basarsi. L’abbigliamento e lo “stare in gruppo” avevano attivato nelle guardie un processo di deindividuazione, che induce alla perdita di autonomia comportamentale e responsabilità personale, diminuisce la consapevolezza di sé
(indebolendo i sensi di colpa, la vergogna e la paura) e accresce l’identificazione all’interno del gruppo, e deumanizzazione nei confronti dei prigionieri, trattati quindi come non-umani.
Allo stesso modo, oggi alcuni membri delle forze dell’ordine possono permettersi di picchiare detenuti perché hanno il potere e si sentono superiori, mentre le vittime rifiutano di parlarne perché intimoriti dall’autorità.
Autorità e potere possono portare le persone a una perdita di umanità con conseguente capacità di compiere qualsiasi gesto, come è accaduto nel caso di Stefano Cucchi, che pur avendo commesso degli errori legati alla droga, non meritava di essere colpito a morte e abbandonato a se stesso.
La sua storia è stata raccontata anche nel film Netflix dal forte valore pedagogico “Sulla mia pelle”, che mira a far conoscere avvenimenti di questo tipo a più persone possibili, per renderci consapevoli, al fine di non ripeterli.