La stampa scomoda

La stampa scomoda 2021#1

Giovedì 6 maggio sul canale YouTube del nostro Istituto - dalle ore 12:00 alle ore 12:45 - si è svolto l’atteso incontro pubblico con il giornalista Paolo Borrometi.

La dottoressa Lucia Scolaro, dirigente del G. Galilei di Ostiglia, ha dato il benvenuto al noto giornalista, ricordando l’importanza attribuita all’educazione civica dall’Istituto e ringraziando per il loro impegno nel portare avanti il Progetto legalità il prof. Armando Trazzi e la prof.ssa Francesca Cestaro.

La stampa scomoda 2021

A seguire la dott.ssa Paola Bruschi, referente territoriale del centro di promozione della legalità della provincia di Mantova, ha ricordato l’importanza del CPL al fine di agire insieme contro ogni forma di illegalità e omertà.

A questo punto, ad apertura dell’incontro, è stato presentato un breve video-ricordo di trenta tra giornalisti e operatori televisivi  accomunati  dall’amore per la propria professione e dall’impegno e dall’etica in essa profusi al punto di perdere la vita nell’intento di fare semplicemente il proprio lavoro: tra questi, ricordiamo, in particolare,  nove giornalisti uccisi dalla mafia a causa del loro scomodo quanto scrupoloso modus operandi nella ricerca della verità, lo stesso adottato dal dottor Paolo Borrometi nella sua indagine giornalistica.

È la professoressa Cestaro a presentare Borrometi e a rivolgergli una prima domanda riguardo un possibile evento o personaggio che avrebbe ispirato la sua scelta professionale, chiedendogli in secondo luogo di condividere con i ragazzi l’esperienza dell’attentato subito il 16 aprile 2014.

Dopo aver ringraziato per l’invito a parlare con i giovani, “nostro futuro”, ma, soprattutto, responsabili del nostro presente, Borrometi ha risposto alle domande postegli, raccontando del suo “incontro”, proprio durante gli studi liceali, con il caso del giovanissimo giornalista Giovanni Spampinato, ucciso dalla mafia a soli 26 anni a causa del suo impegno nel perseguire la verità.

Di lui il Borrometi apprezzò soprattutto la scrittura seria e libera come strumento scelto per combattere la mafia. Borrometi ricorda poi come qualcuno avesse apostrofato Spampinato come un giornalista che “si era cercato la morte”; l’assurdità di questa affermazione, tante volte tristemente attribuita ad altre vittime di mafia e a Borrometi stesso, lo lasciò sgomento e accese in lui il desiderio di intraprendere con determinazione e passione sempre vive la professione di giornalista.

Borrometi non ha ricercato e ingaggiato una personale battaglia con la mafia considerata come un nemico da annientare, si è trovato piuttosto coinvolto in tale campo di battaglia per amore di verità: egli ama la propria professione perché convinto del valore dell’informazione enunciato nell’articolo 21 della Costituzione, da non intendersi soltanto come diritto/dovere di esprimere la propria opinione, ma come risposta al più grande diritto di conoscere la verità e, in base a questa, orientare la propria vita.

 

La prima domanda rivoltagli da uno degli studenti vuole indagare il significato che la paura ha assunto nella sua vita e qual è stato il momento in cui l’ha maggiormente provata.

Borrometi spiega come la paura sia in realtà un sentimento profondamente umano e, in determinate circostanze, persino inevitabile: il problema non è il fatto di provare paura in sé, ma i modi in cui impariamo a gestirla. Egli confessa di provare paura in ogni momento della sua vita e, tuttavia, di non voler sentirsi ostaggio di questa: aver paura può essere positivo quando significa essere coscienti del pericolo ma al contempo non arrendersi a chi usa la paura per imporre la propria volontà sull’altro.

Egli ricorda in particolare due episodi assai traumatici: il pestaggio subito il 16 aprile 2014 da parte di uomini incappucciati e, nella notte del 10 aprile 2018, quando apprese dei piani in atto per eliminarlo con un’autobomba.

 

La domanda successivamente posta dai ragazzi al loro interlocutore chiede di spiegare cosa significhi essere un giornalista libero in Italia.

Borrometi puntualizza immediatamente come l’espressione giornalismo libero non dovrebbe esistere in quanto il giornalismo è da concepire come libero per definizione: esso dovrebbe essere il cane da guardia - non da compagnia - della democrazia, dovrebbe “fare le pulci” al potere, di ogni genere e livello, anche quello legittimo e costituito.

Il giornalista gradito all’establishment probabilmente non sta svolgendo bene il proprio mestiere, che dovrebbe essere considerato innanzitutto una missione: chi è giornalista lo è sempre, non valuta l’eventualità di rendere pubblica una notizia in base alle conseguenze che questo comporterà per lui, egli scriverà ogni qualvolta riterrà validi e presenti in quella notizia i criteri di veridicità, continenza, interesse sociale e notiziabilità.

Nel fare questo il giornalista è in sé e di per sé libero, altrimenti avrà la responsabilità di non avere spiegato, insegnato e offerto a chi legge, guarda e ascolta, gli strumenti per decidere da che parte stare.

 

Un altro studente è interessato a conoscere l’opinione di Borrometi riguardo alla possibilità di parlare del fenomeno mafioso nei programmi scolastici di storia; si domanda inoltre se egli ritenga possibile pensare che un giorno la mafia verrà estirpata dalla nostra società.

Borrometi ammette la necessità da parte della scuola di aggiornare il proprio programma di storia, al fine di non trascurarne una parte importante, quella contemporanea,  segnata non solo dalla guerra di mafia, ma anche da altri fenomeni devastanti di attacco allo Stato come il terrorismo e le stragi susseguitesi durante gli anni di piombo.

È indispensabile che anche la Scuola faccia la propria parte, accanto al giornalismo, nel garantire a ciascuno l’accesso alla conoscenza di fatti e fenomeni storici che hanno informato la nostra società, così come la conosciamo oggi, in modo consapevole di tutte le contraddizioni in essa contenute; eclatanti i casi del sequestro Moro (del quale persistono questioni ancora non del tutto chiarite) e dell’omicidio di Peppino Impastato, nonché del fondamentale processo Stato-mafia, che ha dimostrato l’oggettiva esistenza dell’infiltrazione mafiosa nelle istituzioni e la loro relativa collusione.

Borrometi prosegue quindi asserendo come sia assolutamente possibile pensare di arrivare ad estirpare la mafia e, a tal proposito, cita il giudice Giovanni Falcone quando affermava:“la mafia ha avuto un inizio, avrà un suo svolgimento e avrà una fine”.

L’unica perplessità di Borrometi riguarda piuttosto la possibilità di estirpare da ciascuno di noi e, di conseguenza, dalla società intera l’atteggiamento mafioso.

In ognuno di noi esiste un’ambivalenza che potrebbe privilegiare la facile scorciatoia, il favoritismo, la raccomandazione, il non rispetto della norma ogni qual volta ci si voglia avvantaggiare sul prossimo piuttosto che rispettarne diritti e libertà: questa è in nuce la mentalità o subcultura mafiosa che può facilmente albergare in ciascuno di noi.

 

La risposta alla domanda “E allora come si sconfiggono le mafie ragazzi?”, che a questo punto Borrometi volge loro indietro nella speranza di far sentire ciascuno coinvolto in prima persona, è che accanto alla conoscenza e alla memoria dei fatti dovrà nascere anche l’impegno reale e concreto di ognuno di noi. Lo sgomento e lo sdegno suscitati da stragi efferate come quelle di Capaci e di Via d’Amelio non sono sufficienti a far guarire la nostra mentalità mafiosa se poi ci lasciamo coinvolgere in atti di bullismo nei confronti del compagno più debole senza valutare minimamente l’impatto delle nostre azioni, incapaci di osservare le regole necessarie a una società civile.

La chiave necessaria a portare avanti la lotta alle mafie con la reale speranza di sconfiggerle risiede dunque proprio nel rispetto delle regole.

 

Alla richiesta se durante la sua carriera avesse mai dovuto confrontarsi con tentativi di censura, Borrometi risponde che proprio per ovviare a questa problematica, mentre scriveva sull’attività della mafia nella provincia di Ragusa, ha deciso di creare La Spia, testata giornalistica on line e indipendente.

Questa risposta esemplifica la sua convinzione che la prevaricazione non deve esistere, non solo relativamente alla professione giornalistica, ma in nessun ambito; è necessario il pieno rispetto della libertà di opinione: le idee di ciascuno vanno rispettate, solo così sarà possibile garantire un sano confronto tra tutti i membri di una società che vuole crescere.

 

Giunti a questo punto i ragazzi sono curiosi di sapere a chi il giornalista ritiene di imputare la colpa di un fenomeno mafioso tanto radicato nella nostra società.

Borrometi ammette che questa domanda non ha una risposta semplice ed univoca in quanto, se una gran parte della colpa è sicuramente da imputare alle istituzioni del nostro Paese, che non hanno attribuito al fenomeno mafia la reale, dovuta importanza, è altrettanto vero che l’attenzione delle istituzioni può essere guidata ad agire su problematiche che suscitano maggiormente l’indignazione dell’opinione pubblica: se i cittadini si indignano, le istituzioni intervengono con più tenacia. Borrometi, anche citando l’esempio dell’episodio del giornalista Daniele Piervicenzi, sottolinea come la collettività, i ragazzi stessi con cui ora si sta confrontando dovranno porre in prima persona le basi di una futura società equa verso tutti.

 

L’ultima domanda dell’incontro tra Borrometi e i ragazzi viene posta dagli studenti di una classe quinta della scuola primaria di Virgilio; evidentemente impressionati dal senso di dedizione e sacrificio che ha pervaso le vite di personaggi di spicco nella lotta alle mafie presentati loro a scuola come Falcone, Borsellino e Don Puglisi, sono curiosi ed emozionati nel voler sapere se il giornalista ritiene che, alla luce delle conseguenze subite, prenderebbe ancora le stesse decisioni professionali e umane.

Borrometi risponde senz’ombra di perplessità che sì, si comporterebbe nello stesso modo, poiché si tratterebbe semplicemente di compiere il proprio dovere di giornalista.

Nonostante le oggettive limitazioni e la solitudine gravanti sulla propria vita a causa dell’essere stato posto sotto scorta, il giornalista siciliano sostiene che la massima gratificazione si ottiene nel momento in cui, guardandosi allo specchio, ci si scopre con la coscienza pulita, perché è questa la libertà più grande e meravigliosa.

 

La campana dell’ultima ora è suonata, eppure i ragazzi rimangono fermi e continuano ad ascoltare il giornalista mentre conclude il proprio intervento con la promessa di un ritorno l’anno prossimo in presenza!

A chiusura dell’incontro la prof.ssa Cestaro ne riassume lo spirito attraverso lo slogan “facciamo squadra”: solo se ciascuno diviene leader di se stesso nel processo di contrasto alla mafia, insieme si può non solo combatterla, ma riuscire a sconfiggerla.

 

Giunge infine il ringraziamento corale della dirigente, del Prof. Trazzi e  della Dottoressa Bruschi, con il sincero augurio di potersi incontrare tutti nuovamente e in presenza l’anno prossimo.